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  • Immagine del redattoreRoberto D'Astolto

Il pemfigoide bolloso e le sue varianti cliniche con focus sulle forme localizzate


Il pemfigoide bolloso è la malattia bollosa autoimmune più frequente.

Colpisce principalmente ma non esclusivamente gli anziani, senza predilezioni di sesso o razza, e di solito inizia con prurito e lesioni orticarioidi eritematose o a volte con lesioni simil-eczematose. Successivamente compaiono le bolle, tese, su cute eritematosa o aflegmasica.

La causa è la presenza di autoanticorpi contro due componenti della membrana basale, l’antigene BP 230-kD (BPAG1) e l’antigene BP 180-kD (BPAG2 o collagene tipo XVII). In molti casi c’è ipereosinofilia. L'interessamento delle mucose si sviluppa in una minoranza di pazienti e non è preponderante.

Il pemfigoide bolloso, colpendo buona parte della superficie corporea, ed associandosi quasi sempre ad un forte prurito, è una patologia ad alto impatto sociale con netta diminuzione della qualità della vita. L’esordio spesso è ingannevole simulante una orticaria, un eczema o una prurigo.

Nella presentazione clinica classica le bolle sono disposte simmetricamente e uniformemente su tronco e arti. Possono essere presenti croste emorragiche dovute al grattamento, escoriazioni post-rottura delle bolle e/o placche eritematose infiltrate, con aspetto figurato.

Le bolle, che possono raggiungere un diametro di diversi centimetri, contengono un essudato sieroso o siero-emorragico in caso di grattamento; il segno di Nikolski è negativo.

Le sedi più frequenti sono la regione flessoria degli arti, la superficie antero-mediale delle cosce e l’addome.

Le manifestazioni cutanee del pemfigoide bolloso possono essere polimorfiche, e ciò ha portato alla descrizione di numerose varianti, poco conosciute ma di sempre più frequente riscontro.

Esse sono pemfigoide disidrosiforme, pemfigoide prurigo-like, pemfigoide eritrodermico, pemfigoide intertrigo-like, pemfigoide papuloso, pemfigoide eczematoso, pemfigoide papulosi linfomatoide-like, pemfigoide vegetante, pemfigoide vescicoloso, pemfigoide epidermolisi tossica-like.

Queste forme possono rimanere tali oppure trasformarsi nel tempo nella forma classica.

E’ importante conoscere queste entità anche perché, come emerso in un recente studio, in un paziente su cinque le bolle possono essere completamente assenti.

Tra le varianti la più frequente è di certo il pemfigoide disidrosiforme, descritto per la prima volta da Levine et al. nel 1979 e caratterizzato da un’eruzione vescicolo-bollosa persistente in regione palmoplantare, clinicamente molto simile a quella dell’eczema disidrosico.

Una “variante” poco nota perché molto rara è il pemfigoide del bambino. Ha due picchi di incidenza, nel primo anno di vita e all’età di sette-otto anni. Nel primo gruppo di pazienti le lesioni tendono a comparire sui palmi delle mani e sulla pianta dei piedi, mentre il secondo gruppo ha una caratteristica localizzazione genitale delle lesioni (pene, vulva).

Come detto in precedenza la localizzazione delle lesioni sulla superficie corporea tende ad essere simmetrica, ma ciò non è un dogma.

La presentazione clinica può essere infatti monolaterale, e/o localizzata a distretti corporei singoli, come la regione pretibiale (sede più frequente, Fig. 1 e 2), le pieghe, la regione genitale, i palmi delle mani, la pianta dei piedi, l’ombelico.

In letteratura è stato descritto il caso di un pemfigoide insorto in regione ano-genitale in un paziente psoriasico in trattamento con etanercept. Questo è solo uno dei tanti casi descritti di pemfigoide associato a terapia con anti-TNF, ciò impone una particolare attenzione nell’uso di questi farmaci data la nota associazione del pemfigoide con altre patologie (dermatologiche e non) a carattere immunomediato.

Un altro caso particolare descritto recentemente è quello di un pemfigoide localizzato in regione pretibiale, insorto in paziente con melanoma metastatico in trattamento con pembrolizumab; è ancora ignoto però se ci sia o meno correlazione causa-effetto con l’uso di tale anticorpo monoclonale.

C’è inoltre una correlazione con il traumatismo, come nel pemfigoide insorto in sede di fistola per emodialisi, o in sede di stomia. Anche le ustioni, gli innesti cutanei, la radioterapia, le radiazioni UV e la terapia fotodinamica sono stati chiamati in causa in vari case reports.

In generale si parla di pemfigoide localizzato quando l’interessamento corporeo non si estende oltre il 30%.

Il pemfigoide può essere anche localizzato esclusivamente alle mucose, come la mucosa orale, oculare, esofagea, faringolaringea e genitale.

Si tratta di varianti da conoscere perché difficili da diagnosticare, in quanto l’immunofluorescenza indiretta è spesso negativa dato che il titolo autoanticorpale nel sangue periferico è molto basso o assente; in tali casi è mandatoria l’esecuzione di immunofluorescenza diretta su mucosa perilesionale, che però è una procedura chirurgica invasiva richiedente a volte la sedazione del paziente.

Il pemfigoide delle mucose, se si eccettua quella orale dove ha un aspetto di gengivite erosiva, tende ad avere un’evoluzione cicatriziale. Ciò è potenzialmente invalidante a causa della formazione di sinechie che determinano cecità, disturbi alimentari e/o respiratori a seconda della sede colpita.

Oltre alla localizzazione mucosa si può avere un interessamento cutaneo del cuoio capelluto, noto come pemfigoide di Brunsting-Perry, che evolve in alopecia cicatriziale.

Il pemfigoide bolloso si può associare a varie comorbidità, di carattere autoimmunitario, neoplastico e neuropsichiatrico (emiplegia, malattia di Parkinson, ictus, epilessia, sclerosi multipla).

Si calcola che circa il 40% dei pazienti con pemfigoide bolloso sia affetto da malattia neurologica o neuro-psichiatrica. Ciò può essere spiegato dall’età media alta della popolazione colpita, ma anche dal fatto che gli antigeni BP180 e BP230 sono espressi anche nel sistema nervoso centrale.

Dal punto di vista farmacologico uno studio francese induce a sospettare che lo spirinolattone, la furosemide e certi neurolettici (fenotiazine) possano giocare un ruolo nell’induzione della malattia. Recentemente l’attenzione si è spostata sugli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (gliptine), usati nella terapia del diabete mellito di tipo 2 perché contrastano l’inattivazione delle incretine GIP e GLP-1, con conseguente aumentato livello di questi due ormoni che agiscono stimolando la secrezione di insulina. Crescono infatti i case reports in letteratura di pemfigoide insorto in pazienti in terapia con questo tipo di antidiabetici orali.

Il rapporto causa-effetto è stato confermato anche da studi scientifici, come quello pubblicato sul British Journal of Dermatology nel marzo 2016, e sembra essere maggiore per il vildagliptin rispetto alle altre molecole della stessa classe.

Inoltre, alcuni case reports hanno descritto l'associazione del pemfigoide con la vaccinazione antiinfluenzale, ma questo dato rimane ancora controverso.

E’ noto che il bersaglio degli autoanticorpi è l’emidesmosoma, costituente fondamentale delle strutture che assicurano la coesione dermo-epidermica.

In particolare il target antigenico, per la maggior parte dei pemfigoidi, è rappresentato da BP180 (molecola transmembrana) e BP230 (molecola intracellulare).

Negli ultimi anni sono stati descritte nuove entità nosologiche, come il pemfigoide anti p-200 e i pemfigoidi anti-laminina, che sembrano essere associati ad un maggior coinvolgimento delle mucose.

Trovare gli autoanticorpi citati nel sangue periferico non è patognomico perché possono essere presenti anche in altre malattie dermatologiche, tuttavia i livelli sierici di BP180 sembrano essere correlati all’attività di malattia.

I livelli sierici di BP230 sono invece associati alla presenza di patologie neurologiche e neuropsichiatriche, che spesso accompagnano il pemfigoide bolloso.

Si ipotizza che, come proposto da Ruocco et al, le bolle potrebbero apparire laddove vi è una destabilizzazione regionale del sistema neuroimmunocutaneo.

La prima tappa è la proliferazione dei linfociti B secernenti gli autoanticorpi, con conseguente attivazione del complemento. I fenomeni a carattere cellulare vedono invece protagonisti gli eosinofili, che liberano enzimi proteolitici (metallo-proteinasi) e determinano il clivaggio dermo-epidermico, a livello della lamina lucida.

Gli autoanticorpi coinvolti sono soprattutto di classe IgG (sottoclasse IgG1 e IgG4), ma anche IgA ed IgE; queste ultime secondo uno studio sono associate ad una forma clinica più grave che richiede terapia prolungata. Sono tutti visualizzabili sottoforma di depositi lineari sulla giunzione dermoepidermica, insieme al C3, mediante immunofluorescenza diretta di biopsia perilesionale, perché si legano agli antigeni e vi rimangono legati anche dopo i lavaggi previsti dalla tecnica immunodiagnostica.

Per visualizzare invece gli autoanticorpi nel siero del paziente con pemfigoide bolloso ci viene in aiuto l’immunofluorescenza indiretta, che viene eseguita su un substrato epiteliale intatto (si tende ad usare per comodità l’esofago di scimmia).

Altri test diagnostici effettuabili per la diagnosi di pemfigoide bolloso sono l’ELISA (acronimo di enzyme-linked immunosorbent assay) e il Western Blot, in cui si usa un gel di poliacrilammide per separare le proteine antigeniche in base al loro peso molecolare per poi farle riconoscere dagli anticorpi specifici.

Per differenziare il pemfigoide bolloso dall’epidermolisi bollosa acquisita, e dal pemfigoide con anticorpi anti-p200 ed anti-laminina, oltre alle metodiche ELISA e Western Blot, si può utilizzare la tecnica del salt split skin.

Trattando il pezzo bioptico con una soluzione 1M di NaCl si induce uno splitting a livello della lamina lucida. A questo punto, eseguendo l’immunofluorescenza diretta, i depositi lineari di Ig e C3 saranno visualizzabili sul versante epidermico (con caratteristico pattern “n-serrated”) nel pemfigoide bolloso, mentre saranno visualizzabili sul versante dermico nell’epidermolisi bullosa acquisita.

La tecnica appena descritta è applicabile anche all’immunofluorescenza indiretta, con sensibilità e specificità alta soprattutto se si usa come substrato epiteliale la cute umana normale.

Dal punto dei vista dei mediatori dell’infiammazione, nel siero dei pazienti con pemfigoide bolloso è stato riscontrato un livello più elevato, rispetto alla popolazione generale, di IL-1β, IL-2, IL-4, IL-5, IL-6, IL-8, IL-10, Il-13, IL-15, IL-16, IL-17, IL-21, eotaxina, proteina chemiotattica monocitaria 4 (MCP-4), TNF-α e CCL-18. Tra queste, l’aumentato livello di Il-4 e IL-13 rende ragione di una possibile compartecipazione patogenetica dei linfociti Th2.

L’esame istologico di una biopsia cutanea o mucosa di un paziente con pemfigoide rivela un clivaggio subepidermico, senza necrosi del tetto né acantolisi; la bolla contiene fibrina e polimorfonucleati eosinofili e neutrofili.

C’è inoltre un infiltrato infiammatorio nel derma papillare, per di più intorno ai vasi.

Il management del pemfigoide bolloso è ampiamente descritto nelle linee guida dell’ European Dermatology Forum, scritte in collaborazione con l’European Academy of Dermatology and Venereology. Dal punto di vista anamnestico va indagata l’epoca di insorgenza e l’evoluzione di segni e sintomi, e l’eventuale assunzione di farmaci scatenanti.

C’è poi l’esame clinico che va condotto con particolare attenzione proprio per l’esistenza delle forme localizzate e delle varianti, non sempre di facile interpretazione. Infine i test immunodiagnostici.

La terapia di prima linea si basa sui corticosteroidi topici potenti e molto potenti, da applicare su tutta la superficie corporea escluso il viso e non solo sulle lesioni.

Si può usare il clobetasolo propionato 40 g/die, inizialmente in due applicazioni giornaliere. Si inizia il decalage nelle applicazioni dello steroide topico solo quando è stato raggiunto il controllo della malattia. Il trattamento sistemico con prednisone (partendo da 0,5-1 mg/Kg/die e poi a scalare) è indicato nelle forme più estese ma si associa a noti effetti collaterali. Per tale motivo sono stati usati altri farmaci come adiuvanti e “risparmiatori” di steroide: tetracicline (doxiciclina 200 mg/die) in associazione a nicotinamide, azatioprina, micofenolato, dapsone, ciclosporina.

Altre opzioni terapeutiche, da usare in casi selezionati e resistenti ai farmaci precedentemente citati, sono le immunoglobuline per via endovenosa, il rituximab (anti-CD20), l’omalizumab (anti-IgE) e la ciclofosfamide.

E’ importante prevenire le sovrainfezioni batteriche, mediante medicazioni delle lesioni e bagni con antisettici, oltre a diagnosticare e trattare le eventuali complicanze del trattamento immunosoppressivo.

Negli ultimi decenni è stata compresa per bene la patogenesi del pemfigoide bolloso, e si tratta di un campo molto affascinante perché direttamente collegato alle tecniche immunologiche specifiche descritte, utili come conferma diagnostica in caso di presentazione clinica classica del pemfigoide bolloso.

Nelle forme localizzate invece, e per scopi scientifici, tali tecniche assumono un’importanza cardine ed il loro uso diventa imprescindibile.

Il pemfigoide bolloso è una patologia polimorfa che può presentarsi con aspetti clinici diversi.

La variante localizzata cutanea ha sempre e comunque una natura sistemica data la positività all’immunoflorescenza indiretta presente nella stessa maniera del pemfigoide bolloso classico, ma rimane ancora oggi ignoto il motivo per cui alcuni pazienti sviluppino le lesioni solo in determinate sedi.

Si è pensato alla maggiore presenza di antigeni BP180 e BP230 in determinate sedi (regioni acrali) piuttosto che in altre, come emerge da uno studio pubblicato anni fa da Hamm et al.

Sono necessari però ulteriori ricerche e studi, e ciò non può prescindere dall’utilizzo delle tecniche immunodiagnostiche.

In generale è molto importante conoscere le varianti di pemfigoide localizzato, ad oggi ancora poco note, per riuscire a diagnosticarle precocemente e quindi assicurare al paziente un trattamento adeguato ed efficace.

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